To WE or not to WE?

To WE or not to WE?

Ma è ovvio…to WE!

Questa è la risposta che organizzazioni e società di vario tipo danno oggi all’unisono senza pensarci più un attimo.

È ormai tutto un fiorire di processi collaborativi, seminari e workshop su come lavorare in team e raggiungere l’obiettivo, sull’importanza di ascoltare e includere tutti, di fare progetti e ottenere risultati preferibilmente…insieme.

E pensare che per decenni la logica della leadership, ovvero del Leader che sa sempre dove andare e che se è bravo riesce a portarci in paradiso, ha pervaso un po’ tutte le organizzazioni. Una logica stretta nel ME, nel comando e controllo, nell’ego del leader carismatico, negli stili di influenza migliori da agire sugli altri per portare tutti a fare esattamente “quello che ho pensato e deciso IO“.

Un’esaltazione delle capacità del singolo e della competizione, un voler mettere in luce sempre e solo i cosiddetti “alti potenziali”; un puntare diretto verso un’eccellenza fatta appunto da “eccezioni”, costruita su una straordinarietà di pochi eletti. Un concetto di eccellenza individuale che produce -automaticamente -i cosiddetti “followers”.

Quelli che dicono di sì e possibilmente velocemente eseguono (e se non pensano troppo va anche meglio).

Ma di followers, adesso si sa, non c’è più tanto bisogno; è necessario avvalersi delle competenze e del contributo di molti per raggiungere il risultato, saper devolvere e distribuire a manciate leadership sui collaboratori a tutti i livelli, richiamando in causa le responsabilità, l’“accountability & entrepreneurship” di ciascuno\a.

E dunque l’EGO ipertrofico, il leader solo al comando, non funziona più; la modalità per cui il pensiero mio conta più del tuo perché sono più esperto, anziano e perché “conosco bene questa azienda” sembra, ai tempi dei millennials e dell’informazione distribuita gratuitamente a tutti, aver fatto il suo tempo.

Ma ahimè non è così facile abbandonare un mindset che ci ha fatto crescere e ci ha portato dove siamo oggi semplicemente perché… non funziona più.

Sì, perché è proprio di mindset che si tratta.

Diventare collaborativi e partecipativi includendo tutti, saper ascoltare e saper rispettare il proprio turno per dire la “propria”, fare delle domande, restare nell’incertezza e continuare ad investigare se la situazione diventa particolarmente complessa, non lasciarsi divorare dall’ansia se proprio non si è raggiunta una risposta e una soluzione definitiva, non sono modalità a cui siamo- specialmente nelle professioni aziendali- allenati.

Sono muscoli a volte completamente atrofizzati, che richiedono nuove forme di training per essere sviluppati e tradursi in set di nuove e diverse competenze.

Competenze – quelle di cui sopra- molto importanti in un mondo sempre più volatile, ambiguo, incerto e appunto complesso. Un mondo che non può affidarsi ad una soluzione perché, sempre più spesso, non è in grado di comprendere bene nemmeno quale sia il problema.

Competenze che non si ottengono partecipando ad un team building ( Tu che sei in Alto, chiunque tu Sia, guardaci e liberaci dal team building!) e che non sono facilmente spendibili dopo un workshop o la lettura di un libro o articolo su HBR.

Competenze nuove, competenze soft e interiori, che ci allenano ad uscire dalla tipica mentalità del “fixing the problem”. Problem che spesso non si riesce e non si può risolvere facilmente.

A dunque to We or not to WE? To WE. Sicuramente. Ma in modo intelligente e non retorico.

Ad esempio fissando delle belle regole: regole del gioco su come stare, ascoltare, dialogare, interagire in un meeting. In un incontro.

Nuove forme di disciplina da organizzare e promuovere nell’attesa che un mindset più adeguato si formi, e ci trasformi.

Skills

Posted on

February 13, 2018