Si usa molto nel mondo manageriale la parola “cambiamento”. Il cambiamento viene costantemente evocato: “Serve un change management!“, “Dobbiamo fare dei cambiamenti!“, “Qui serve un cambiamento!“.
Dietro al verbo “cambiare” c’è sempre una sorta di giudizio nascosto perché di solito si desidera cambiare qualcosa che non va bene. Quindi la frase “serve un cambiamento” sottintende che c’è qualcosa che non va, che non funziona, che c’è qualcuno che non sta facendo le cose nel modo corretto.
Inevitabilmente scateniamo un malcontento: qualcuno si sentirà giudicato e subito scatterà sulla difensiva (“Perché devo cambiare?”, “Dove ho sbagliato?“, “Mi converrà questo cambiamento?”).
E se al posto della parola “cambiamento” usassimo la parola “trasformazione“? La trasformazione è prima di tutto una parola a lungo termine: è lenta, più fluida, meno irruenta. La trasformazione è una concetto che conosciamo bene (basti pensare che le cellule del nostro corpo si trasformano in continuazione, che noi ci trasformiamo senza sosta nell’arco della nostra vita), è insito in noi, è parte di noi. Al contrario del “cambiamento”, la “trasformazione” non mette in condizione l’altra persona di sentirsi giudicata, di sentirsi inadeguata. La trasformazione è un concetto intimo, è inclusivo, è gentile.