“Come stai?” — Perché scappiamo sempre dalla risposta?

“Come stai?” — Perché scappiamo sempre dalla risposta?

“Come stai?”

“Io bene grazie, e tu?”.

E poi… via andare.

Perché dobbiamo passare subito ad altro, alle cose più o meno produttive che ci riempiono la vita. Le ansie della giornata, i piccoli incidenti, i luoghi dove correre, le urgenze del quotidiano e i bisogni che vengono subito prima e subito dopo quell’incontro, quel “come stai”… che va risolto alla svelta.

C’è una velocità e una reattività ormai implicita in questa domanda, un botta e risposta che può essere interessante investigare. È come se fossimo un po’ impauriti di sentire e di sapere veramente come stai, come sto: come stiamo.

Mi vengono in mente i primi due tiri di una partita di ping pong fatta da due giocatori che riprendono la racchetta dopo tanto tempo che non giocano più; ad un primo tiro veloce segue una schiacciata ancora più veloce dell’altro che porta la pallina fuori dal tavolo, e il primo round finisce lì.

Come stai?

Io te lo chiedo ma non ho voglia di saperlo veramente e non ho intenzione di rallentare il ritmo della mia giornata; tu che ricevi la mia domanda a volte non vedi l’ora di chiuderla lì e preferisci fuggire dalla risposta. In sintesi, fuggiamo tutti e due da noi stessi e, velocemente, passiamo ad altro”.

Ho visto tante volte l’imbarazzo negli occhi prima di un workshop o di un incontro professionale se pongo questa domanda con vero interesse. Un imbarazzo che provo – a volte- anche io su di me quando l’altro mi porge la domanda con reale attenzione, guardandomi negli occhi attraverso uno sguardo che vuole reggere il mio, magari esitando, facendo una pausa, respirandoci dentro, senza la paura di restare per qualche attimo in silenzio.

La difficoltà e paura a sentire veramente come mi sento io, come si sente l’altro, non vanno “giudicate” ma solo osservate; sono spesso il risultato di una continua fretta –leimotiv- incombente delle nostre vite. Meglio e più sicuro entrare nel precipizio delle risposte sbrigative e già confezionate.

Come stai?

Ogni tanto, facciamola diventare domanda autentica, proviamo a starci dentro in dueSul lavoro è una pratica bellissima. Può dare risultati sorprendenti.

Quando incontro il mio collega o collaboratore, prima di iniziare il meeting e dunque parlare del progetto o problema da risolvere, ho deciso, ci provo”.

Come stai?

Lo domando con “autenticità” perché ho deciso di donare a me e a lui\lei\loro uno spazio di ascolto reciproco e di condivisione sul come stiamo, come ci sentiamo anche nel corpo, quali emozioni, paure, speranze stiamo mettendo in gioco adesso, proprio ora, prima di dirci o fare quello per cui ci siamo incontrati.

Un come stai, un “come stai vero“, richiama in vita le nostre emozioni. Le mette in circolo in modalità empatica, ci connette con gli altri e produce un’energia pacifica che rende il dialogo tra di noi nutriente e molto spesso profondamente utile e creativo.

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Posted on

February 13, 2018